Così la Champions è diventata una banca: in ballo due miliardi di euro

La Champions è diventata una sorta di Banca centrale europea: “whatever it takes”, per dirla con Mario Draghi, che ne fu, a suo tempo, l’Aleksander Ceferin della situazione. A ogni costo. L’edizione in rampa di lancio sarà l’ultima a 32 squadre. Dal 2024, riveduta, corretta e ingrassata, passerà a 36. Argine alla famigerata Superlega. In ballo, due miliardi abbondanti di euro. Destinati a salire, naturalmente. Nacque nel 1955, e al capitolo inaugurale presero parte in 16. La chiamarono Coppa dei Campioni. Il Novecento aveva generato e sofferto due guerre, l’Europa si specchiava in una mappa sparpagliata e rancorosa, fra vincitori e vinti. Lo sport cominciò ad avvicinarla, nella speranza, romantica, di unirla. C’era già, dal 1930, la Coppa Rimet. E ci sarebbero stati, dal 1960, gli Europei. Le competizioni per club erano ferme alla Coppa dell’Europa Centrale, poi Mitropa, e alla Coppa Latina. Tentativi settoriali, sacche geografiche. Mancava lo spirito ecumenico. Frastornata e martoriata dalle macerie delle bombe, la gente mendicava eroi, simboli, robuste stampelle. In quel groviglio di sentimenti (e risentimenti) agitato dal nazionalismo delle nazioni, le nazionali si trasformarono nella locomotiva del convoglio. Al resto – ad allenare, cioè, le pance e i campanili – pensavano i tornei domestici. Finché i francesi non s’inventarono la Coppa dei Campioni che, aperta ai non campioni dal business più efferato, si sarebbe mangiata la Coppa Uefa, oggi Europa League, e la Coppa delle Coppe, deposta nel 1999 e recuperata dal 2021, almeno nominalmente, attraverso la Conference League. La saga, visto il montepremi in palio, ha più selezionato che equilibrato, tradendo la scintilla mobile e nobile dei padri fondatori. Prendiamo la finale del 10 giugno: il Manchester City di Pep Guardiola (e degli sceicchi di Abu Dhabi) regolò l’Inter per 1-0. Ebbene, per trovare una “new-entry” come gli inglesi bisogna risalire addirittura al 2012, ad altri inglesi: il Chelsea di Roberto Di Matteo. E se il Real Madrid di Alfredo Di Stefano si aggiudicò le prime cinque (1956-1960), il Real della staffetta tra Cristiano Ronaldo, Luka Modric e Karim Benzema dal 2014 al 2023 ne ha portate a casa altre cinque (su dieci). Morale della favola: più quattrini ai “poveri”, in linea di massima, ma bacheca sequestrata spesso dai soliti noti. Non si colgono, in giro, grandi visioni se non la moltiplicazione delle gare e degli introiti. Il Mondiale per nazioni, nel 2026, traslocherà dai 32 “clienti” del periodo neo-classico, diciamo così, ai 48 grazie ai quali Gianni Infantino conta di cementare lo scranno della Fifa. Per tacere del Mondiale per club che, con cadenza quadriennale, dal 2025 raggrupperà lo sproposito di 32 candidati, contro i 7 attuali. A chi trionfa, 100 milioni. È l’esplosione della quantità. Gli anziani del villaggio ricordano con sadica nostalgia i Vietnam sudamericani della Coppa Intercontinentale quando, soprattutto a Buenos Aires, ci si giocava la mascella, oltre che la faccia. Eliminazione “diretta”: quasi alla lettera.

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